giovedì 19 gennaio 2012

La Partita - parte II

In attesa che iniziasse l’incontro mi guardai intorno: in quasi ogni fila c'erano dei servi che, muniti di cestini, vendevano bevande e cibi caldi. Chi non mangiava era intento a leggere dei giornaletti che venivano distribuiti all’entrata. Altri ancora, e sono quelli che più mi incuriosirono, si riunivano in capannelli e parlottavano densi tra loro. “Sono allibratori: le scommesse sono generalmente vietate qua su Artorius, ma l’anfiteatro è una sorta di porto franco. Ciò che è illegale su tutto il pianeta qui diventa, se non legale, tollerato.. La febbre della scommessa è una grave malattia e molti qui ne sono affetti. conosco un tizio, per esempio, che perse tutte le sue fortune giocando la vittoria dei Blu. Dalla disperazione e dalla vergogna si uccise. Si venne a sapere tempo dopo che quella stessa partita era stata truccata da un allibratore molto disinvolto in materia etica” disse causticamente il mio accompagnatore “La fine tipica di molti scommettitori.” Questa smagliatura nella rete della legge portava a rendere lo stadio un luogo frequentato anche da molti mercanti che volevano portare a termine i loro scambi sotto occhi meno indiscreti di quelli della restrittiva legislazione arturiana.

L’arena era in semplice terra battuta. Sul terreno erano state tracciate delle linee in calce che formavano un rettangolo, lungo sui 90 metri e largo un po’ meno della metà, il campo da gioco, a sua volta diviso sul lato lungo a metà. “Entrano!” in campo fecero il loro ingresso le due squadre. Quattro persone per squadra. Ai polsi i giocatori portavano dei guanti robusti, per colpire la palla, come ebbi poi a capire. L’obiettivo del gioco era fare in modo che la palla, non più grande di un’arancia, una volta lanciata, rimbalzasse nel campo degli avversari per due volte senza che questi riuscissero a rilanciarla nell’altra metà. Ogni volta che una delle due squadre segnava un “punto” le gradinate reagivano o con urla di gioia o con bordate di fischi. Il gioco sarebbe continuato fino a quando una delle due squadre fosse riuscita in questo fine per almeno dieci volte.

“Come potrai ben immaginare, non ti ho portato qui solo per mostrarti come passiamo il nostro tempo: mi serviva un luogo tranquillo per poter parlare senza essere ascoltato da persone indiscrete” iniziò Anrì: “Vedi, il vostro arrivo ha sconvolto non pochi animi nel consiglio. Da molto tempo non ricevevamo ospiti che provenissero dalla Repubblica, tanto che iniziavamo a pensare fosse solo una leggenda la sua esistenza. Oppure che fosse stata distrutta dai Radicali, Nailliani come li chiami te..” “Con mio dispiacere devo ammettere non si fa molta differenza tra nailliani moderati e radicali dalle mie parti, soprattutto dopo la Grande Guerra” “Sappiamo quello che avete fatto” “E quello che abbiamo subito?” alla mia risposta seccata l’arturiano sorrise benevolo e continuò “Non siamo qui per parlare di storia, ma per progettare il futuro. Come dicevo, l’arrivo della vostra nave, e soprattutto l’arrivo di un milite della Repubblica, parlo chiaramente di te, ha creato un subbuglio che definire leggero è eufemistico. Sono secoli che non abbiamo collegamenti con il resto della Colonizzata non Radicale. Il tuo riassunto di ciò che è successo in questi anni ha fatto pensare a molti di noi che sia ora di riunirci a voi. Ovviamente ciò vorrebbe dire dichiarare guerra ai radicali, spezzare l’equilibrio che avevamo creato con loro.. e non tutti sono favorevoli a tali rischi..” “E’ una decisione molto pesante da prendere, lo capisco, ma siete repubblicani! Onorate gli stessi nostri eroi. E i radicali..” “Fermati qui, ospite: so chi ha fatto cosa a chi e viceversa. Il punto è: tu hai raccontato che siete in guerra con i Rathi, che avete conquistato le città libere, , sconfitto la pirateria e schiacciato i Primitivisti. Sembrerebbe che la Repubblica vada a gonfie vele. Allora perché venire qui a implorare la nostra alleanza?” Mi chiese. “Io” risposi in fretta senza pensarci troppo e, soprattutto, raccontando la verità “non sono qui per conto di nessuno se non di me stesso. La mia legione venne sbaragliata in terra Rathica. Da allora vivo in alla giornata.. Io stesso mi sono fatto pirata nelle città libere. Quando venni fatto prigioniero dai Nailliani” “..Radicali” mi corresse “Dai Nailliani radicali riuscii a fuggire con altri e per puro caso giunsi su Artorius. Non è una missione ufficiale nè programmata. Ma nonostante queste cose, mi reputo un buon cittadino repubblicano e guai non avessi tentato di fare il bene per la mia nazione!” gli spiegai accorato. “L’avete vinta la guerra con i Rathi?” “i pianeti liberi sono in mano nostra e i primitivismi ormai errano disperati sulle arche da molto tempo”. “Allora la situazione non è così disperata per i nostri interessi.. Punto!” dalle gradinate i tifosi vestiti di verde urlarono a squarciagola e esultarono come indemoniati. A quanto pare i verdi erano riusciti a vincere una partita insperata contro i favoriti Rossi. “Una sconfitta non è la fine del mondo: l’importante è vincere il campionato.. anche se contro questi qui..” Erano i commenti dei tifosi rossi. “Mi spiace per la tua squadra” dissi ad Anrì. “Spero che questa sconfitta sia un buon segno d’auspicio per uno scontro ben più importante” mi rispose sconsolato. Mentre ci dirigevamo all’uscita vidi i tifosi verdi entrare nell’arena. Erano contentissimi, come se avessero vinto una guerra, presero sulle spalle i loro beniamini e li osannavano come eroi. L’unico commento della mia guida fu “provinciali”.

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