venerdì 9 dicembre 2011

Dell'empietà che i pirati fecero a bordo del galeone.


I Nailliani, ridotta a impotenza la capacità offensiva della Lucius Brutus, dunque iniziarono a cercare e a catalogare le merci e qualunque cosa di prezioso vi fosse sul nostro vascello: il loro comandante ordinò infatti a nove di loro di rimanere sulla nave per questo scopo. Divisi in tre squadre essi iniziarono l'ispezione, con solerzia e puntigliosità che poche volte ho avuto possibilità di essere testimone. Infatti, mentre le altre due squadre erano intente a contare il carico di euxenite presente nella stiva e nei corridoi, una terza squadra, ben più feroce e avida di beni, andò in cerca di ricchezze per gli alloggi dei passeggeri e dell'equipaggio, iniziando a rapinare chiunque di qualunque cosa ai loro occhi avesse valore: strappavano le collane, anche le più miserevoli e prive di valore, direttamente dal collo, senza preoccuparsi di rovinare o rompere gli ornamenti; a chi, incauto e geloso dei propri beni, si rifiutava invece di cedere gli anelli che portava, uomo o donna che fosse, essi risolvevano il problema recidendo la falange e così, dito e anello insieme venivano messi in una sacca: questa, alla fine della ruberia da questi compiuta, era così piena e così grondante di sangue che avrebbe fatto impressione anche al più navigato degli uomini.
Ma le loro malefatte non si fermarono a questo: vi era a bordo della nave, insieme alla sua famiglia, un certo Glyndus Martius, un giovane patrizio del pianeta Byzantium, capitale della Provincia Arcadica. Egli, per linea diretta, era discendente del Distruttore di Pianeti, l'onorevole Eusebius Martius Niallanus, eroe della prima campagna contro la rivolta nailliana. Saputo della sua presenza e dei suoi così famosi avi mentre stavano facendo ritorno alla loro nave, i corsari tornarono velocemente al suo alloggio per torturarlo. Una volta che questi furono andati via, due civili che avevano gli alloggiamenti vicini a quello di Glyndus andarono a vedere cosa fosse capitato al giovane patrizio. Lo trovarono morto, legato ad una sedia, con mani e piedi mozzati, il corpo pieno di tagli e ustioni. il viso totalmente sfigurato.
Venuto a conoscenza di questi accadimenti, il comandante Vandervala fu preso da enorme ira e, radunato un piccolo gruppo, era sua intenzione di uccidere i nailliani colpevoli di queste atrocità; a stento gli altri riuscirono a tenerlo fermo nelle sue stanze ricordandogli che, per quanto vergognose ed empie fossero le azioni dei nailliani, per un motivo del genere essi avrebbero potuto facilmente distruggere il galeone e che quindi, la morte di un paio di persone, anche se di nobili e gloriosi natali, era un prezzo sopportabile per la sopravvivenza di tutti.

lunedì 5 dicembre 2011

Dell'arrivo dei Nailliani a bordo e di come si comportò il comandante Vandervala.


Quando i nemici sentirono quel messaggio, cessarono l'attacco e inviarono quattro lance verso il galeone: il comandante non riuscì a persuadere la turba ammutinata a non permettere che i nemici entrassero a bordo senza colpo ferire.. Dopo la consegna di ostaggi da parte dei nostri (come assicurazione di incolumità per i Nailliani), l'ammiraglio Tangi Namatus si recò nella cabina del comandante dove Cornelius Vandervala, visto che non obbedivano ai suoi ordini, si era ritirato insieme ad alcuni che non lo avevano abbandonato. Namatus lo salutò con parole d'uso tra i capitani, vincitori e vinti, esortandolo a non abbattersi, perché erano questi i casi della guerra e dell'alterna fortuna; e aggiunse che per mostrargli quanto aveva apprezzato il suo valore gli prometteva, a nome suo e del suo Principe, l'incolumità di tutto l'equipaggio e un rango di valore nella flotta Nialliana, qualora avesse giurato fedeltà a Morvanus e avesse subito consegnato i dati di carico, le rotte di navigazione, e tutti i documenti ufficiali presenti sulla nave, oltre che l'intero carico di Moissanite, nel caso ve ne fosse a bordo. A lui, Cornelius Vandervala rispose: “Queste richieste, ammiraglio, presentale a chi ti ha chiamato, ti ha consegnato il galeone e ti ha permesso d'entrare. Da parte mia, non ho niente da spartire né con te, né con il tuo principe, perché la mia fedeltà va solo alla mia Repubblica e non ti darò quel che mi chiedi in quanto non mi considero vinto finché non mi abborderete e mi costringerete alla resa con le armi”. A questa risposta il Nialliano andò su tutte le furie e, mentre si dirigeva verso la sua lancia per far ritorno sulla sua nave con gli ostaggi, urlò: “Non vuoi ancora piegarti comandante?”. Diede inoltre ordine via radio di inviare altre quattro lance piene di armati sulla nostra nave.
Quando il comandante vide le lance in prossimità della Lucius Brutus mentre i suoi uomini non volevano neanche sentir parlare di combattere, si diresse di corsa verso la sala comandi e, aiutato da Pelagius Pursius, responsabile della sala motori, e dal sottoscritto Erricus Rotius, Optio delle Milizie, prese a distruggere tutti i dati che, qualora in mano nemica, si sarebbero rivelati fatali, non solo per le altre navi della squadra, ma per tutta la flotta terrestre poiché contenevano numerose rotte di vascelli militari e civili in navigazione quell'anno. Ad altre persone presenti in sala comandi e atterrite dal pericolo cui li esponeva, dichiarò che anche a rischio della vita non sarebbe mai venuto meno ai suoi obblighi di comandante, e che i nemici non avrebbero mai conosciuto per suo tramite i segreti della Repubblica.
Namatus, tornato al galeone con i suoi armati, non avendo trovato il comandante nelle sue stanze, si diresse in sala comandi dove lo trovò. Presagito l'accaduto, adirato, trattò brutalmente il Comandante e gli impose ancora una volta di consegnare tutti i documenti e i dati di navigazione. Vandervala rispose di nuovo che non aveva nessun documento da dargli, ma che siccome si trovava sul galeone, se li cercasse da sé. Gli chiedeva soltanto, poiché anche lui era a comando di una nave e sapeva gli obblighi del grado, di attestare che egli fino all'ultimo aveva eseguito gli ordini ricevuti: gli lasciasse dunque una ricevuta delle mercanzie requisite da presentare al Prefetto delle Rotte a proprio discarico. Tangi Namatus promise di dargliela non appena i suoi uomini avessero finito di catalogare il carico.

sabato 3 dicembre 2011

Dell'abbordaggio del galeone Lucius Brutus da parte dei Nailliani.


Inviato il messaggio, tutto l'equipaggio si mise in posizione, non di difesa, come si potrebbe credere, ma d'attacco: sapevano infatti che la nave mai avrebbe potuto reggere l'urto della capitana Nailliana e il piano era dunque di prendere possesso di quest'ultima per poi poter far rotta al più vicino pianeta abitato dove sarebbero stati messi in salvo. Tanta era la disperazione tra i nostri che non pochi credettero che il piano avesse delle possibilità di riuscita; chi invece aveva esperienza di cose guerresche capì che non era che, benché temeraria e con lievi possibilità di riuscita, un azione suicida. Tra l'equipaggio si diceva infatti che il comandante, per paura di essere processato per la perdita della nave e delle merci, aveva intenzione di cercare una morte onorevole, e portare con sé quante più persone egli avesse possibilità.
La nave capitana dei Nailliani, con la prua rivolta verso il nostro lato sinistro, frantumò con il rostro la parte anteriore del galeone staccandolo completamente dal resto della nave, causando molte perdite tra i nostri, fortunatamente però i settori vennero chiusi in tempo prima di causare altre perdite e la nave,anche se a stento, era ancora in grado di navigare. Molti allora, persa ogni fiducia sulle possibilità di difendersi, si recarono dal capitano e gli chiesero d'arrendersi, ad evitare che morissero tutti nello spazio. Questi però li invitò a ricordarsi che erano cittadini della Repubblica e cioè gente che, in simili situazioni, non aveva mai perduto l'onore per paura della morte. Rientrato questo ammutinamento, benché tutti fossero tornati al loro posto, la loro caparbia costanza non bastò a tenere la nave in sicurezza, che aveva lo scafo esterno sempre più squarciato. Si iniziò a mormorare che il galeone era sul punto di collassare. Passatasi parola l'un l'altro, tornarono inferociti dal comandante e lo scongiurarono di arrendersi: la situazione era critica e, se lui aveva intenzione di perdere la vita, badasse di non perdere anche l'onore facendo morire tutta quella gente. A queste e ad altre parole il Comandante Cornelius Vandervala rispose seccamente: “Lasciate fare a me il mio compito di capitano” e intimò a questi di allontanarsi dalla sala di comando. Mentre questi ancora si lamentava e si rifiutavano di andarsene, giunse dal comandante l'ufficiale alle macchine, Pelagius Pursius, e gli si avvicinò parlandogli all'orecchio; e dato che veniva da un sopralluogo dalla sala motori e non parlava pubblicamente, tutti ne dedussero che lo stava avvertendo dell'imminenza del pericolo...
A questi discorsi, che si svolgevano tra i due, tutti gli altri stavano così attenti che, accortisi di quel che succedeva, ad una voce con grande veemenza gridarono: “Se voi volete morire, noi vogliamo salvare la vita, perché combattere non serve ormai a niente e non c'è più modo di difenderci” E senza tener conto degli ordini del comandante, lo deposero dal suo potere, senza però imprigionarlo, ma anzi era libero di muoversi per il galeone. L'ammutinamento si estese a tutta la nave e per quanto Vandervala facesse e gridasse, un ufficiale inviò un messaggio di resa.

giovedì 1 dicembre 2011

Della fuga e della seconda battaglia con i Nailliani.

Partito il galeone, come ho detto, e avviatosi verso lo spazio aperto in direzione di Nadiria, non navigò da solo per molte ore, perché il nemico riuscì a rintracciarlo facilmente e, con le sue tre navi in breve tempo lo raggiunse. Le due che avevano combattuto il giorno prima tallonavano i nostri, mentre la terza, sempre pacifica, seguiva la loro scia. Questa nave, anche se non fosse vero che faceva parte di un altra squadra e che non aveva ricevuto l'ordine di combattere, non avrebbe potuto entrare in battaglia perché non sapeva come disporsi: le sue compagne, infatti, avevano cominciato a colpire con le loro batterie anteriori, per poi, una volta arrivati abbastanza vicini alla Lucius Brutus, fare a turno a scaricare le artiglierie laterali, così mentre una sparava, l'altra ricaricava; la nostra nave era incalzata in tale modo che non ci fu un solo momento durante il quale non gli piovessero addosso proiettili. Dai nostri i Nailliani, invece, ricevettero poco danno, infatti la tattica del comandante di usare le mine non li colse di sorpresa e riuscirono a liberarsene distruggendole molto prima che queste riuscissero ad avvicinarsi ai loro scafi. Inoltre i due cannoni di poppa erano guasti dalla battaglia precedente e, non potendo usare colpi diretti ma solo proiettili esplosivi lanciati dai cannoni laterali, e quindi poco affidabili, i Nailliani non ebbero grandi difficoltà a raggiungerci.
Dopo circa quattro ore di combattimento così intenso, sul galeone, ridotto quasi a un colabrodo, si contavano alcuni morti e parecchi feriti. Inoltre l'intero comparto di cannoneggiamento sinistro era inutilizzabile, in quanto uno squarcio largo quanto una lancia aveva reso il settore aperto al vuoto e quindi inagibile per i cannonieri, quasi tutti privi di tute pressurizzate e scorte d'ossigeno. Anche l'hangar di lancio aveva subito gravi danni; fu dunque deciso, che le residue energie dell'equipaggio venissero usate per la riparazione di questo, necessario come ultima via di fuga in caso di distruzione del galeone.
La situazione era così disperata che si decise di mandare alcuni ingegneri fuori dalla nave affinché riparassero lo scafo esterno; esponendoli così a rischi enormi, sia per la possibilità che i nemici li vedessero e iniziassero a bersagliarli, sia per il gran numero di detriti volanti che rischiavano di recidere i cavi di sicurezza e condannandoli così alla peggiore delle morti. Ma non bastò il coraggio di questi ultimi: pur avendo chiuso molte falle, e ristabilito l'abitabilità in molti comparti, ne rimanevano molti altri ancora da riparare, alcuni dei quali, necessari per la navigazione, era praticamente impossibile aggiustarli in quelle condizioni.
L'annuncio che non era possibile riparare la nave sgomentò tutti perché ci si rendeva conto che la mala sorte creava ostacoli e difficoltà insormontabili per le loro forze: tanto più che il galeone non obbediva più alla guida. Come ultimo slancio d'umanità si lanciarono nello spazio i morti e vennero curati per quanto possibile i feriti..
Il comandante, come noi tutti, si rese conto che l'unica nostra salvezza stava in un abbordaggio e in un combattimento corpo a corpo: per questo diede ordine a tutto l'equipaggio di armarsi e inviò al nemico un messaggio dove affermava che non avrebbero mai ceduto la nave e che quindi, se veramente volevano il bottino, i Nailliani sarebbero dovuti venire all'arrembaggio.

mercoledì 30 novembre 2011

Dell'arrivo del galeone Lucius Brutus alla stazione di Pertinax e della prima battaglia con i Nailliani.


Il nostro galeone navigava veloce quale poche volte si era avuto del tragitto di quella rotta, giacché essa, oltre che infestata da pirati, è anche pericolosa per il gran numero di detriti che si trovano sulla strada (non poche volte infatti molte navi vengono perse per una falla causata da rottami, perciò si deve spesso procedere a vista) e il 12 novembre prese contatto radar della stazione..
Quando i Nailliani rilevarono che il galeone stava effettuando le manovre per attraccare nel porto interno della stazione, ritennero che, per non farsi catturare, i Terrestri o si sarebbero trincerati in quella posizione o avrebbero fatto esplodere la nave trovando rifugio all'interno della Pertinax, come avevano già fatto gli eroici uomini della Carolus Mars alla stazione Britannia incalzati da Reiver Primitivisti. Per evitarlo, i nemici, fino ad allora nascosti dietro Sirius, e quindi invisibili ai nostri sensori, si mossero rapidamente verso la stazione e inviarono un messaggio radio al galeone. Giunti presso Pertinax molto prima di noi, rimasero in orbita alla stazione per un breve tempo, poi la loro squadra si divise: l'ammiraglia e una delle navi si diressero verso di noi, mentre la terza rimase pacifica intorno alla stazione..
Senza alcun fondamento, qualcuno dice che le due navi si tolsero dall'orbita temendo di essere troppo vulnerabili a un possibile abbordaggio da parte del galeone: era evidente che i Nailliani avevano tutte le possibilità di evitare l'abbordaggio, sia nel momento stesso in cui i nostri lo avessero tentato, sia prima, non appena il galeone aveva oltrepassato la prima boa; avevano tutto il tempo di levarsi dall'orbita e prendere il largo, se ciò mai fosse stata la loro volontà. Nonostante quello che alcune malelingue vogliono ora farci credere, l'intenzione dei Nailliani era chiaramente di dar battaglia, e aspettavano solo il momento più propizio per attaccare.
Il galeone non aveva ancora finito le manovre iniziali di avvicinamento alla stazione che i nemici si allinearono accanto ad esso e in posizione così favorevole, che il capitano Erricus Cadugan gridò al comandante di ordinare una bordata a quelle, poiché non conveniva lasciarle avvicinare così tanto.
Il comandante Vandervala, visto che l'intento del nemico era scopertamente ostile, poiché non era certo venuto fin lì tanto velocemente, e in quell'assetto, con propositi di pace, diede ordine di far fuoco con un pezzo soltanto, ma il proiettile non andò a segno e si disperse nello spazio, mentre il nemico, che aveva già i buttafuochi accesi, scaricò contemporaneamente sul galeone la sua artiglieria, da una nave e dall'altra, senza perdere un colpo. Si ingaggiò così una feroce battaglia, a tiro di proiettili perforanti a punta principalmente, ma vennero usati anche alcuni di quelli esplosivi, molto più efficaci, anche se molto pericolosi per la vicinanza tra le navi.
Si combatté tutto il giorno: con i Nailliani che dalla loro favorevole posizione andavano smantellando e distruggendo, cannonata dopo cannonata, la Lucius Brutus, e con molti morti e feriti da una parte e dall'altra...
I nostri si adoperavano in tutti i modi per recare offesa al nemico, usando senza risparmio le cariche che avevano a disposizione: in quel giorno ne consumarono più di cento, tra mine e proiettili costruiti alla bell'e meglio durante lo svolgersi stesso della battaglia. Ma dovettero anche subire la terribile tempesta di proiettili che, senza un attimo di sosta, i Nailliani sparavano contro il galeone, provocando danni gravissimi agli scafi e addirittura diversi comparti della nave dovettero essere abbandonati, giacché erano così messi male che sembravano collassare da un momento all'altro.
Neppure i nemici uscirono indenni e senza perdite, perché un solo tiro del galeone riuscì a compromettere la stabilità delle più piccola delle due navi attaccanti. E in questo modo, quelli per il bottino, i nostri per la propria vita, si continuò a combattere per altre ore ancora, fino a quando la stanchezza, ma soprattutto la necessità di riparazioni da entrambe le parti obbligarono a una tacita tregua.
In questo tempo si buttarono nel vuoto i caduti, si curarono con grande amore i feriti e si riparò, come la situazione permetteva, i comparti danneggiati, e tutti lavoravano assiduamente a queste e alle altre cose necessarie alla difesa.
Quando la calma tutto intorno sembrava regnare, fu dato ordine di allontanarsi dalla stazione e tentare la fuga verso il pianeta abitato di Nadiria, nel sistema di Sirius, non molto distante dalla nostra attuale posizione ma molto ben difeso, sicuri che i Nailliani non avrebbero avuto coraggio di inseguire il galeone fin là. Inoltre, impegnati nell'inseguimento del galeone, anche se più veloci, le navi nemiche non avrebbero potuto usare i cannoni laterali, il che diminuiva enormemente la loro pericolosità in spazio aperto. Se invece il galeone fosse rimasto in prossimità, se non addirittura nell'orbita, di Pertinax, i nemici avrebbero sicuramente avuto la meglio, in quanto più agili e veloci. A tutte queste ragioni se ne può raggiungere un'altra che il comandante non dichiarò, lasciando ai più curiosi come me di intuirla: facendo rotta verso uno spazio aperto si sarebbero potute utilizzare meglio le mine, ritardando quindi di molto gli inseguitori, costretti a perdere tempo a disarmarle, distruggerle o evitarle...
Durante la fase delle riparazioni, il nemico si era rifugiato vicino ad un asteroide non molto lontano dalla stazione, poiché non si riteneva sicuro nelle vicinanze del galeone. I Nailliani temevano soprattutto che i nostri li abbordassero ed evitavano ogni rischio di arrembaggio tanto quanto i Terrestri lo cercavano. Il comandante, capito il timore degli avversari, fece posizionare il galeone verso l'ammiraglia dei Nailliani e tentò di speronarli con il rostro ancora miracolosamente integro, ma questi, vedendola arrivare, riuscirono a disimpegnarsi, con grande rabbia dei nostri. Ai quali non rimase che proseguire il viaggio...

martedì 29 novembre 2011

Quali erano i nemici che il galeone incontrò presso la stazione Pertinax e dello scopo per cui vi si trovavano.


Nello stesso anno in cui il Senato inviò in soccorso della Provincia di Albirea la flotta di galeoni detta, dalla ribelle nazione di Naillum partirono tre squadre spaziali dirette al sistema del Terzo Cigno. Una di queste, comandata dal Ammiraglio Tangi Namatus, salpò dal pianeta artificiale di Cinna, per ordine del Principe Morvanus, al fine di stabilire rapporti d'alleanza e di commercio con i rappresentati del Terzo Cigno, allora di non sicura fede repubblicana. La squadra doveva tornare al più presto con un carico di Moissanite e di Euxenio limitato (per mantenersi il più leggeri possibile) e trovarsi al massimo verso la metà di novembre presso la rotta tra Albus Pegasus e Pertinax, dove avrebbe aspettato qualcuna delle nostre navi della rotta dell'Albirea per cercare di catturarla, costringendola alla resa bombardandola ed evitando ad ogni costo l'arrembaggio.
Seguendo questi ordini, Namatus fece ritorno dal Terzo Cigno così rapidamente, che prima del 25 ottobre si trovavano già tre galeoni in formazione da imboscata intorno a Albus Pegasus, portando con sé due legati Terzocigni che venivano a discutere circa una possibile alleanza. Le tre navi erano dello stesso tonnellaggio: la capitana aveva quarantasei pezzi d'artiglieria, tra cannoni e lanciamine, e ciascuna delle altre ne contava trentasei. Si trattava dunque di navi appositamente costruite per la guerra, con una così ottima disposizione delle batterie di cannoni da riuscire a bombardare il nemico in qualunque posizione si trovassero, senza bisogno di molte manovre, e non portavano più di duemila quintali di merci ciascuna. Ogni nave trasportava un centinaio di uomini, che svolgevano indistintamente il compito di soldati, marinai e bombardieri, secondo il costume di quella nazione, per cui si trovavano in grande vantaggio sulle nostre. Erano tutti Religiosi, e per lo più fedeli dell'Unicum, e tra loro neppure per sbaglio si sarebbe potuto trovare un cosmista.
Tante erano le armi e gli strumenti di guerra di cui erano provvisti e tanta la quantità di munizioni, che dopo tre giorni di battaglia con il nostro galeone, sulla capitana contarono le munizioni perforanti avanzate e ne trovarono più di seicento solo di quelle esplosive, senza calcolare quelle a punta: come se non portassero altra zavorra. I corridoi e i ponti, come i ripari dei pezzi d'artiglieria, erano totalmente sgombri. Tutto era così ben organizzato che riuscivano a muoversi all'interno della nave con la massima facilità...
Al contrario, il nostro galeone Lucius Brutus che, seguendo la rotta perfettamente, sta per imbattersi in questi nemici, non porta che venticinque pezzi d'artiglieria, compresi i due cannoni di poppa, inagibili non prima d'aver liberato la camera in cui si trovano delle mercanzie che sono state lì accatastate. Le munizioni erano in tutto duecentocinquanta proiettili esplosivi.
Ho voluto dilungarmi su questi particolari perché si veda con quanto vantaggio i Nailliani si batterono contro il nostro galeone, e quale sia la prudenza e l'armamento che converrebbe alle navi che battono la rotta d'Albirea, perché, a meno che la guerra volga velocemente in nostro favore, ci si deve aspettare di incontrarli ancora, e si sappia con quanta superiorità essi vengono a cercarci.
I Nailliani trovarono nelle vicinanze di Sirius, non molto lontano da Pertinax, scorie e rifiuti lasciati pochi giorni prima dalla sfortunata nave cargo Atius che, di ritorno dal sistema di Auriga, fu completamente distrutta dai pirati mentre era alle porte di Eris. Avendo appreso che quella così ricca nave era passata per quella rotta, si rammaricarono moltissimo, come poi ebbero a dichiarare, di essersi lasciata sfuggire la preda. Fecero allora rapidamente provvista di carburante, in modo da essere pronti, senza indugi, a prendere battaglia contro qualsiasi nave che si presentasse e inseguirla nel caso, accortasi del pericolo, prendesse il largo.

sabato 26 novembre 2011

Di come arrivarono nove vascelli partiti dalla Stazione di Malta per il Pianeta Padus nella Provincia Albirea nel 2255 e del ritorno da Padus della capitana Lucius Brutus, nonché dei pareri manifestati sull'opportunità di non passare per la stazione di Pertinax.


Nel 126, il console Teodorus Giocovicus ordinò che, oltre alle tre navi di viaggio annuale, di cui quell'anno era comandante in capo Fernandus Caus, si apprestassero sei galeoni per trasportare su di Arbirea rinforzi di uomini, armi e denaro di cui il Senato riteneva che quel sistema avesse bisogno, sia per le perdite subite nei combattimenti contro i Nailliani, sia per le istanze presentategli dal governatore di quella provincia. Dei sei galeoni di rinforzo nominò Comandante Cornelius Vandervala, che aveva già guidato due flotte su questa rotta. Il Galeone Lucius Brutus era una nave militare di media stazza, con una stiva non molto ampia. Quando partì da Padus, fu sovraccaricata all'inverosimile, compromettendo così la capacità di navigazione, come avviene abitualmente per le navi che partono dall'Albirea (male irrimediabile e che tanto costa a molte di esse!).
Solo nella stiva trasportava cinquemila quintali di Euxenite, e nel corpo della nave, nei dormitori, nelle armerie e addirittura nella sala comando erano tante le casse di mercanzia ammucchiate l'una sull'altra, che non c'era posto neppure per una persona. E persino nei locali dell'equipaggio c'erano casse e cabine di fortuna, come sempre accade in queste navi. Sul galeone s'imbarcarono circa trecento uomini tra marinai, ufficiali, qualche militare, prigionieri e una trentina tra patrizi e persone di rispetto..
Il galeone era talmente carico che, tra le proteste dei mercanti, si dovette procedere a sbarcare un po' del carico. Raggiunto un peso, non regolamentare, ma soddisfacente per il comandante, il 24 agosto, la Lucius Brutus poté partire.
Giunti all'altezza del sistema di Rastaban, secondo la rotta abituale, non poterono sostare a Ctesiphon, poiché la stazione era soggetta a quarantena: quindici giorni prima infatti una galera proveniente da Tirdaulum, la Gaudium Coeli, carica di fanatici dell'Unicum e di prigionieri di guerra, cadde vittima di un'imboscata da parte di un commando nailliano. Per resistere all'attacco, la galera, priva di navi di scorta (ahimè, è così che in questi tempi infatti conduciamo le nostre guerre!), tentò rifugio nella stazione, ma venne distrutta appena attraccata: morirono, oltre a tutto l'equipaggio, seicento tra mercanti e personale della stazione che si trovavano sul molo nel momento dell'esplosione, e circa il triplo venne contaminato dalle sostanze tossiche che si dispersero a seguito dell'esplosione della Gaudium Coeli. Queste furono le cause che decretarono la quarantena della Stazione di Ctesiphon. Non potendo quindi fare scalo, la Lucius Brutus proseguì allora alla volta della Terra volando a una velocità ragguardevole per una nave così carica, tant'è che raggiunsero Albus Pegasus in soli tre mesi con tanta felicità quale mai nave aveva trovato fino a quel momento, come se la sorte, adirata per la loro fortuna, li spingesse ad affrettarsi verso il luogo della tragedia, in cui li vedremo presto arrivare.
Oltrepassato Albus Pegasus, realizzati i desideri di buona speranza, cominciarono ad approntare gli armamenti, a fare mine e altri preparativi di guerra perché avevano saputo che molte navi da corsa di Naillum erano passate dal sistema del Terzo Cigno e temevano di incontrarle. Con questo timore ed avendo superato così facilmente Albus Pegasus, pensarono di proseguire il viaggio senza attraccare dalla Stazione Pertinax, né altre, perché erano in buona salute e avevano viveri ed acqua a sufficienza, e contavano quindi di raggiungere la Terra al più tardi a marzo. Ma a chi gli proponeva questa soluzione, adducendo ragioni che avrebbero dovuto persuaderlo, il comandante Vandervala rispose: “Signori, sarebbe per noi molto conveniente proseguire il viaggio senza far scalo alla Pertinax. Sono anch'io di questo avviso e così già la pensavo alla partenza a Padus, quando ho insistito con il governatore Sanzus e con i procuratori della Repubblica per essere esonerato dall'obbligo di sostare alla Pertinax. Ma non mi è stato possibile ottenerlo perché c'è l'ordine preciso del Senato di prendere porto nella stazione e aspettare fino a Dicembre gli altri due Galeoni della mia squadra per dirigerci tutti e tre insieme verso la Terra, dal momento che la rotta è infestata di corsari; e mi sono stati dati, in tal senso, altri ordini scritti, firmati dal Governatore, che io, anche se di diverso parere, sono dovuto a eseguire scrupolosamente. Tra l'altro mi è stato prescritto di dirigermi verso la Pertinax, come il Console aveva comandato, tenendo il galeone in assetto da guerra, e di assalire qualsiasi nave nemica si avvicini. Arrivando alla stazione, dovrò far entrare la nave nel porto interno, questo è infatti il posto più sicuro, e rafforzare le difese sbarcando uomini del Lucius Brutus su di essa, in modo che sia inespugnabile. Se però sia nell'orbita che nei pressi della cintura di meteoriti là vicina troveremo navi che sia rischioso affrontare, dovremo passare al largo dalla Pertinax, proseguendo il viaggio verso la Terra. Nel caso si presentino davanti alla stazione navi in gran numero superiore alle nostre (indizio certo che si tratta di nemici), dovremo lanciarci secondo il parere di tutti gli ufficiali, dei patrizi e del resto dell'equipaggio, nel modo che più convenga per la sicurezza del viaggio. Se infine, nel tragitto, incontreremo navi nemiche, gli ordini mi lasciano piena libertà di decidere su come agire”. Così parlò il comandante mostrando come testimonianza di insindacabilità gli ordini scritti e firmati dal Governatore. Sentite queste parole e visti i documenti, più nessuno osò mettere in discussione la rotta.

RELAZIONE SOMMARIA DELLE BATTAGLIE E DELLE VICENDE DEL GALEONE LUCIUS BRUTUS

Al patrizio Boetius Balbus Prefetto del Pretorio e Senatore della Repubblica Terrestre.

Augustissimo Senatore, delle 58 navi che questa Repubblica ha perduto negli ultimi 15 anni a causa della pirateria e della guerra con la Nazione Nailliana, alcune hanno patito tante avversità e così degne di nota da spingermi a riferirne, almeno in parte, in questa breve relazione che, con le dovuta venerazione, offro a Te. Mi è sembrato infatti che la nostra amata Repubblica vedrà, a causa di tali perdite, eclissarsi la gloria ricevuta da queste imprese di Colonizzazione e Conquista (avviate soprattutto al tempo dell'illuminato Console Petrus Azeliius) almeno tanto quanto è stata esaltata dalle sue fortunate vicende. E non solo risulterà di lenimento ai travagli sofferti da chi è scampato alle sciagure di cui riferisco, vedendo che ne è giunta notizia a Te, me ne verrà eterna memoria a coloro che in esse morirono gloriosamente.
Accogli Patrizio, con la tua consueta affabilità, questa scarna relazione, dovuta alla mia mia mano rude e incolta, perché essa abbia rinomanza.
La fortuna protegga la Repubblica.

Da Hibernata, Provincia Esterna di Delina, 21 ottobre 126° RR.
ER·ROTIVS·P·F·PAVLVS·OPTIVS MIL