venerdì 9 dicembre 2011

Dell'empietà che i pirati fecero a bordo del galeone.


I Nailliani, ridotta a impotenza la capacità offensiva della Lucius Brutus, dunque iniziarono a cercare e a catalogare le merci e qualunque cosa di prezioso vi fosse sul nostro vascello: il loro comandante ordinò infatti a nove di loro di rimanere sulla nave per questo scopo. Divisi in tre squadre essi iniziarono l'ispezione, con solerzia e puntigliosità che poche volte ho avuto possibilità di essere testimone. Infatti, mentre le altre due squadre erano intente a contare il carico di euxenite presente nella stiva e nei corridoi, una terza squadra, ben più feroce e avida di beni, andò in cerca di ricchezze per gli alloggi dei passeggeri e dell'equipaggio, iniziando a rapinare chiunque di qualunque cosa ai loro occhi avesse valore: strappavano le collane, anche le più miserevoli e prive di valore, direttamente dal collo, senza preoccuparsi di rovinare o rompere gli ornamenti; a chi, incauto e geloso dei propri beni, si rifiutava invece di cedere gli anelli che portava, uomo o donna che fosse, essi risolvevano il problema recidendo la falange e così, dito e anello insieme venivano messi in una sacca: questa, alla fine della ruberia da questi compiuta, era così piena e così grondante di sangue che avrebbe fatto impressione anche al più navigato degli uomini.
Ma le loro malefatte non si fermarono a questo: vi era a bordo della nave, insieme alla sua famiglia, un certo Glyndus Martius, un giovane patrizio del pianeta Byzantium, capitale della Provincia Arcadica. Egli, per linea diretta, era discendente del Distruttore di Pianeti, l'onorevole Eusebius Martius Niallanus, eroe della prima campagna contro la rivolta nailliana. Saputo della sua presenza e dei suoi così famosi avi mentre stavano facendo ritorno alla loro nave, i corsari tornarono velocemente al suo alloggio per torturarlo. Una volta che questi furono andati via, due civili che avevano gli alloggiamenti vicini a quello di Glyndus andarono a vedere cosa fosse capitato al giovane patrizio. Lo trovarono morto, legato ad una sedia, con mani e piedi mozzati, il corpo pieno di tagli e ustioni. il viso totalmente sfigurato.
Venuto a conoscenza di questi accadimenti, il comandante Vandervala fu preso da enorme ira e, radunato un piccolo gruppo, era sua intenzione di uccidere i nailliani colpevoli di queste atrocità; a stento gli altri riuscirono a tenerlo fermo nelle sue stanze ricordandogli che, per quanto vergognose ed empie fossero le azioni dei nailliani, per un motivo del genere essi avrebbero potuto facilmente distruggere il galeone e che quindi, la morte di un paio di persone, anche se di nobili e gloriosi natali, era un prezzo sopportabile per la sopravvivenza di tutti.

Nessun commento:

Posta un commento